Umana Commedia • Human Comedy
Storia di una maratoneta • The Story of a Marathon Woman
Poema a 177 finali
Un’eroina fuggiasca e le sue copie-replicanti
intrappolate in un labirinto quantistico senza via d’uscita.
Una macchina enigmatica al ‘core’ del poema
che consente di viaggiare attraverso
plurime dimensioni del multiverso.
Una sfida per la salvezza come un problem solving
indefinitamente aperto contro un invisibile ‘Deep Blue’…
***
A fugitive heroine and her replica-figures
entrapped inside a quantum labyrinth without a way out.
An enigmatic machine at the ‘core’ of the poem
which allows travel through
multiple dimensions of the multiverse.
A challenge for life as an indefinitely open-ended problem solving
against an invisible ‘Deep Blue’…

William Blake – Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno, 1790 – 1793
Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda
puro e disposto a salire a le stelle
Dante – Divina Commedia, Purgatorio, canto XXXIII
‘I returned from the holiest wave
regenerated as spring plants
renewed with new branching foliage,
pure and prepared to climb to the stars’
( Translated by C.G.)

William Blake – Dante fugge dalle fiere
INTRODUZIONE DI BARBARA LANATI • INTRODUCTION BY BARBARA LANATI
Nota di Rebecca West
È la fuga di una donna, – “Evasa Arianna col filo tinto di sangue in gordiano nodo” – che si dipana lungo un percorso ignoto su piani multidimensionali della realtà visibile e invisibile, e, come dentro un’arcana macchina del tempo, in labirinti e singolarità spazio-temporali; metafora di un universo in cui ogni cosmologia – colle sue costellazioni di certezze e punti cardinali di orientamento – è sovvertita, e né il mito né la mente (coi suoi schemi, scientifici e non) possono ricostituirne ordini essenziali per la vita. È fuga senza ritorno dalla Storia e dalla trama ramificata e quantica delle storie prevedibili e previste. Fuga di salvezza, per uscire – (“profuga devastata di una guerra cosmica o nuova Eva?”) – fuori da quell’intrico che, dalla genesi, affonda le radici nel Mistero, e che si ramifica nella Storia e in storie dal tronco dell’”albero del conoscere” – e risalire sull’albero della Vita. Un innovativo poema sulla matrice strutturale di un problem solving in progress e indefinitamente aperto…
This is a woman’s flight –“Fugitive Ariadne with the blood-red thread tied in a Gordian knot” which unravels along an unknown path of multidimensional planes of reality, both visible and invisible and, as if inside an arcane time-machine, in labyrinths and space-time singularities; the metaphor of a universe where every cosmology – with its constellations of certainties and cardinal points of orientation – is over-turned, and neither myth nor the mind (with its schemes, be they scientific or not ) can rebuild the orders that are essential for life. It is a flight without return from History and from the branched and quantized web of foreseeable and foreseen stories.A flight to salvation to rise – (“a ravaged refugee from a cosmic war or a new Eve?”) – leaving that tangled interlacing, whose roots since the genesis have been steeped in Mystery and branched into History and into stories from the trunk of the “tree of knowledge” – and to climb the Tree of Life. An innovative poem on the structural matrix of an indefinitely open-ended problem solving in progress…

Sandro Botticelli – Mappa dell’Inferno dantesco, 1480-1495 circa
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI • PRELIMINARY REMARKS
Rovesciando la cosmologia dantesca
‘Umana Commedia’ per un verso può essere intesa come una rielaborazione in chiave postmoderna della Divina Commedia dantesca e per altro verso come creazione radicalmente innovativa di poesia contemporanea. È un poema allegorico che tratta della fuga di una donna, che si dipana lungo un percorso ignoto su piani multidimensionali della realtà visibile e invisibile, e al tempo stesso è la metafora di un universo dove ogni cosmologia è rovesciata e infranta. Ed è proprio questa la concezione del cosmo e della natura sottesa al poema, e che emerge dal complesso dei testi poetici.
Per millenni gli astronomi hanno ricercato regolarità e continuità nei processi naturali, vagheggiando cieli immutabili e perfetti, teorizzando una immagine del cosmo depurata di tutta la sua reale drammaticità. La concezione dantesca del cosmo si ispira alla concezione aristotelica e tolemaica, una visione estetica dell’Universo, formalizzata a fini teologici e fondata sul movimento eterno e perfetto dei cieli: Sole, Luna, pianeti e stelle erano concepiti come oggetti fissi all’interno di sfere cristalline ruotanti intorno alla terra. In tale concezione (espressione della dicotomia metafisico-scientifica del mondo, assorbita e adattata dalla teologia cristiana), si teorizzava un universo in cui il fulcro era l’uomo stesso, e di cui l’uomo, occupando la posizione centrale, poteva in definitiva mantenere il controllo sotto la costante vigilanza divina. Da Copernico in poi l’indagine scientifica e una crescente consapevolezza hanno lentamente dimostrato che l’Universo è immenso, che la sua vetustà è tale da rendere meno che insignificante la durata della vita umana e che non si può sostenere che noi ne occupiamo il centro, se non altro perché in realtà non v’è prova alcuna che tale centro esista. Attualmente il cielo, particolarmente alle lunghezze d’onda X e gamma, ci mostra un universo segreto, costellato di “mostri cosmici”, di esplosioni a scala galattica, e popolato di sistemi stellari, buchi neri e nuclei di galassie attivi alle più alte energie. Osservato nella globalità dello spettro, il cosmo è un caleidoscopio di universi diversi che, a seconda della banda elettromagnetica a cui lo si guardi, rivela un volto sconosciuto alla semplice indagine ottica.
È stato così possibile penetrare le più invisibili dimensioni dell’Universo. E si è svelata la costitutiva natura cataclismica e la dinamicità dell’Universo. E paradossalmente si è appreso che proprio le esplosioni cataclismiche e la violenza degli eventi cosmici svolgono un ruolo essenziale nella composizione e formazione della struttura dell’universo e della stessa vita. Questa nota introduttiva mira a sottolineare primariamente il fatto che l’invisibile, l’ignoto e l’imponderabile risulta, in base alla scienza contemporanea stessa, parte costitutiva della realtà fisica in cui viviamo. L’attuale ricerca scientifica, con i suoi avanzatissimi mezzi e strumenti, ha esplorato le più recondite e sconosciute dimensioni dell’universo, ma, paradossalmente, nel fare questo – pur volendo esorcizzarlo – ha infittito e illuminato nella sua reale complessità il Mistero e ha disegnato un “paesaggio cosmico ” entro il quale l’uomo contemporaneo si scopre sempre più disorientato, in balia di forze e leggi non controllabili e, seppure ormai fuori dalle pastoie del dogma, maggiormente confuso e sviato sulla via della verità e, soprattutto, più “nudo” ed espropriato nella vita, scissa per taglio manicheo dalla natura.
The “Human Comedy” in one respect can be read as a reworking in post-modern key of Dante’s “The Divine Comedy”, and in an other as a radically innovative creation of contemporary poetry. It is an allegorical poem featuring a woman in flight, which unravels along an unknown path of multi-dimensional planes of reality and, at the same time, it is the metaphor of a universe where every cosmology is overturned and shattered . And this is the very conception of the cosmos and of nature underlying the poem, and which emerges from the ensemble of poetic texts. For millennia astronomers have been seeking order and continuity in natural processes, dreaming of perfect, unchangeable heavens, and theorising an image of the universe cleansed of all its actual drama. Dante’s idea of the cosmos was inspired by Aristotle and Ptolemy, whose aesthetic view of the Universe was formalised with a theological purpose and based on the perpetual, perfect movement of the heavens: Sun, Moon, planets and stars were conceived as fixed objects within crystal spheres revolving around the earth. In this concept (an expression of the metaphysical-scientific dichotomy of the world, absorbed and adapted to Christian theology), a universe was postulated in which man himself was the fulcrum and which man – by virtue of occupying the central position – could control under constant divine supervision. Ever since Copernicus, scientific studies and a growing awareness have gradually demonstrated that the Universe is immense, that it is sufficiently ancient to make the human life-span less than insignificant, and that it cannot be upheld that we are in the centre, if for no other reason than that there is no proof that such a centre actually exists. Nowadays the sky, in particular at X and gamma wavelengths, shows us a secret universe, strewn with “cosmic phenomena” and galactic-scale explosions, and populated by star systems, black holes and nuclei of high energy galaxies. When it is observed within the globality of the spectrum, the cosmos is a kaleidoscope of different universes which, depending on the electromagnetic band on which is it viewed, reveals – upon simple optical investigation – an unfamiliar look. It has thus become possible to penetrate the most invisible dimensions of the Universe, and its cataclysmic nature and dynamism have been revealed. And paradoxically it has been learned that these very cataclysmic explosions and the violence of cosmic events play an essential role in the composition and formation of the structure of the universe, matter and life itself. This introductory note is designed mainly to underline that the poem turns into a problem the fact that the invisible, the unknown and the imponderable are – on the basis of contemporary science – a constituent part of the physical world in which we live Modern scientific research, with its highly advanced means and tools, has explored the most hidden and unknown dimensions of the universe, but – though wishing to exorcize it – in so doing has paradoxically shown the Mystery in all its real complexity, and drawn a “cosmic landscape” in which contemporary man finds himself increasingly disorientated and at the mercy of uncontrollable forces and laws, and the – though freed from the shackles of dogma – in conclusion is more confused and led astray onto the way of truth and, above-all, more “naked” and stripped in life, severed by a Manichean separation from nature.

William Blake – Dante sul punto di entrare nel fuoco
MULTIVERSO E UNIVERSI PARALLELI • MULTIVERSE AND PARALLEL UNIVERSES

William Blake – Dante e Virgilio entrano nella selva
IL VIAGGIO VIRTUALE • THE VIRTUAL JOURNEY
La mia emblematica “donna in fuga” può essere interpretata in vari modi: sia come figura simbolica, che come entità fenomenologica, e anche quale creatura alchemica. Nello specifico contesto del “viaggio virtuale” tuttavia essa viene vista soprattutto sotto la specie della “figura replicante”, intrappolata in un generatore di realtà virtuale che rappresenta un mondo con leggi fisiche alterate e ignote, e che si proietta in più dimensioni e rivive in molteplici copie (“istantanee”) in universi differenti Assumendo con le necessarie mediazioni in ambito artistico una esemplificazione tipica della ricerca sulla realtà virtuale, possiamo paragonare la protagonista del poema a un utente di un generatore di realtà virtuale, un androide che sta eseguendo un programma collegato per implementazione a un computer. Premesso che nell’affrontare in poesia il “viaggio virtuale” (come per altri aspetti del poema), sono frequenti riferimenti e uso di termini e concetti della fisica- trasposti in forma “impropria” e creativamente mediata – si possono profilare due modelli interpretativi.
- Da un lato si potrebbe interpretare tale viaggio come l’attraversamento di regioni spaziotemporali deformate e distorte, fino alla frontiera estrema dello spazio fisico, compiuto da un corpo terrestre che per la sua “velocità di fuga” attua dislocazioni spaziotemporali e sconfinamenti gravitazionali. Tale interpretazione si presta pure ad un parallelo che ritengo molto significativo, date anche le ricorrenti metafore incluse in certi testi: la maratoneta, al pari della stella collassata (il cui destino è a tutt’oggi per la scienza mistero), rinchiusa anch’ella entro un “orizzonte degli eventi”, non può tornare nel nostro universo, e, come la stella, se non cessa di esistere, passa in regioni sconosciute che vengono chiamate altri universi o universi possibili. Si tratta di un modello applicabile alla struttura del poema, composita, “intrappolata”, “catastrofista”, caratterizzata da una costante discontinuità e perennemente dinamica.
- La seconda modalità interpretativa, altrettanto pertinente, fa riferimento al modello che descrive “il viaggio nella macchina del tempo”, presentato da Deutsch nel suo libro . In tale prospettiva il poema può essere inteso come una macchina che genera realtà virtuale, ma entro la quale vige una sorta di “indeterminazione temporale”: esso non è una “macchina del tempo” nel senso fantascientifico né fisico-matematico, tuttavia il suo principio di funzionamento e la trama dei viaggi ha fondamentali affinità con il modello descritto al cap. XII del libro in questione.
Ritengo parimenti congeniale il parallelo con questo secondo modello, in quanto esso presenta analogia di struttura con il poema e “apre” a ulteriori sviluppi e riflessioni.
- Il “punto di partenza” del “viaggio” si colloca, nel poema, al termine del “Prologo”. La struttura aperta di tale testo è paragonabile ad una apertura che dà su un meccanismo astratto a scomparti (visualizzabile come una porta a specchi girevole); la mia protagonista imbocca uno scomparto e accede a una “via”, un percorso, riemergendo entro un “posto”, nel quale si generano le immagini e le sensazioni illustrate in ciascun testo.
- Ella ritorna ogni volta al “punto di partenza” con la registrazione dell’unità di viaggio effettuata; quindi imbocca un altro scomparto. La struttura del libro si presta a tale interpretazione in quanto ogni testo è congegnato come un “incastro” da congiungersi via via al “punto di partenza”, posto al termine del “Prologo” incompiuto
- E così via: ogni volta la mia protagonista riparte per un determinato percorso, avendo idealmente con sé le copie virtuali delle possibilità già esperite
Si può osservare che:
- la tipologia del viaggio non implica interazioni né relativamente all’ambiente, né tra la protagonista e le sue copie (ciò peraltro evita i “paradossi”)
- il viaggio si svolge secondo una “pluridirezionalità” temporale:
- il punto di inizio – al termine del “Prologo” e prima di ciascuna partenza – rappresenta il presente
- ciascun “iter/testo” è, da quel punto di vista, una possibilità futura, ma al proprio interno può comprendere vari strati di memoria, anche cosmica e remota, e svariate deformazioni dello spazio-tempo, fino al limite del “buco nero”
- ciascuna unità di “iter/testo”, sperimentata da ciascuna copia come possibilità futura, diventa passata, cioè un’ “istantanea” su cui ci si ricorda di essere stati
- via via al punto di partenza può così aversi la visione di tutte le copie e dei percorsi effettuati
- First, the journey could be interpreted as the crossing of deformed and distorted space-time regions, as far as the extreme frontier of physical space, by a terrestrial body performing space-time movements and defying gravity by its very “speed of flight”. This interpretation also lends itself to a parallel which I considered highly significant, given furthermore the recurrent metaphors included in certain texts: the runner – like the “collapsed star”, (the fate of which is still a mystery for science today)- is also confined within a “horizon of events”, and she cannot return to our universe and – like the star – if it does not cease to exist, it passes into unknown regions called other universes or possible universes. This model can be applied to the structure of the poem: composite, “entrapped”, “catastrophist”, marked by incessant discontinuity and perennially dynamic.
- The second interpretative method – equally pertinent – refers to the ‘time-travel’ model, presented by Deutsch in his book The Fabric of Reality. From this perspective, the poem can be understood as a machine which generates virtual reality, but within which reigns a sort of “temporal indeterminacy”: it is not a “time-machine” in a science fiction or physical-mathematical sense, though the principle of its operation and the unfolding of the journeys has basic affinities with the model described in Chap. XII of the book in question.
I believe that the parallel with this second model is in the same way congenial, as it offers analogy of structure with the poem and “opens” up to further development and thought.
- The journey’s “starting point” in the poem is at the end of the unfinished “Prologue”. The structure opened with this text is comparable to an opening which gives onto an abstract mechanism in sections (conceivable as a revolving mirror-door); the marathon-woman takes one section and enters a “way”, a path, re-emerging in a “place”, in which the images and sensations illustrated in each text are generated;
- She returns each time to the “starting point”, recording the unit of the journey completed; then she takes another section. The structure of the book lends itself to this interpretation, as each text is delivered as a piece to be “slotted” into the “starting point”, at the end of the unfinished “Prologue”
- And so on: each time my marathon-runner leaves again on a particular path, ideally accompanied by the virtual copies of the possibilities which have already been tested.
It can be observed that:
- the type of journey does not imply interaction with the environment or between the hero and her copies (this also avoids any “paradoxes”)
- the journey takes place according to a temporal “pluri-directionality”:
- the starting point – at the end of the “Prologue” – represents the present before each departure
- each “passage/text” is, from that point of view, a future possibility, but can contain various layers of memory, including cosmic and remote memory, and a variety of deformations of space-time as far as the limit of the “black hole”
- each unit of “passage/text”, experimented by each copy as a future possibility, becomes past – i.e. a “snapshot” in which you remember to have been
- gradually a view of all the copies and the paths followed can be had at the starting point.

Sandro Botticelli – Angeli , disegno per la Divina Commedia, 1480-1495 circa
LA MARATONETA • THE MARATHON WOMAN
Un non-personaggio con copie-ombra
Nel viaggio virtuale, la mia “donna replicante” non è invero un personaggio, ma direi piuttosto un non-personaggio. Le sue copie si può dire appartengano a quegli universi che, nel capitolo “Ombre” del suo libro, Deutsch sostiene abbiano “la stessa struttura di quelli tangibili” e siano “strutturati in universi paralleli (” ‘Paralleli’ perché simili a quelli tangibili”)
Nel viaggio poetico dantesco si affollano intorno alla persona di Dante molteplici ben definiti personaggi, incarnazione di figure del passato – con il loro spessore storico e la loro memoria, le loro passioni, sentimenti, pensieri, emozioni – risuscitati e trasposti entro lo sfondo di scenari virtuali fantasticamente progettati, coi quali egli instaura interazioni improntate a significativa reciprocità.
Questo viaggio simulato ha invece per protagonista quello che ho definito un non-personaggio e un certo numero di sue copie-ombra separate, non interferenti o collidenti o interagenti; e inoltre – entro sfondi deserti o spaziali – figure-ombra in “istantanee” di memoria, rigenerate sullo spettro della luce e ri-costellate entro i singoli frammenti poetici: proiezioni da un contiguo Ade, in “flash”di comparse archetipe, mitiche, leggendarie…
Forzando ulteriormente il paragone, possiamo definire i personaggi danteschi come creature virtuali entro ambienti virtuali, ideati con mirabile e “futuribile” potenza immaginifica. Da questo punto di vista egli è un grande innovatore, capace di creare e far sperimentare ambienti fisicamente e logicamente al limite del “possibile”, fino all’irrealtà più spinta. Quando si cita il termine virtuale in riferimento a Dante ci si rifà al suo significato che rimanda alla creazione artistica di impressioni sensoriali artificiali, e in particolare alla generazione di immagini (non quindi circoscritto all’ambito tecnologico contemporaneo, come per lo più attualmente inteso).
In the virtual journey, rather than being “a character”, I would say that my “replicating woman” is a” non-character”. Her copies could be said to belong to those universes which – in the chapter entitled “Shadows” in his book – Deutsch holds to have “the same structure as tangible ones” and to be “structured in parallel universes “(“Parallel because they are similar to the tangible universes”)”. In Dante’s poetic journey, his person is surrounded by many well-defined characters, incarnations of figures of the past – with their historical importance and their memory, passions, sentiments, thoughts, feelings – brought back to life and transposed into a background of fantastically designed virtual settings, with whom he establishes interaction marked by significant reciprocity. This simulated journey, on the other hand, has as its main character what I have defined as a non-character, together with a number of separate shadow-copies who do not interfere, collide or interact; and furthermore – within deserted or spatial backgrounds – shadow-figures in “snapshots” of memory, regenerated on the spectrum of light and re-strewn within the single poetic fragments; projections of a contiguous Hades in “flashes” of archetypal, mythical, legendary extras… Taking the comparison still further, we can define Dante’s characters as virtual creatures in virtual surroundings, devised with wonderful, “speculative” figurative power. From this point of view he is a great innovator, capable of creating and experimenting environments which are physically and logically on the edge of what is “possible”, as far as the most extreme unreality. When the term ‘virtual’ is cited in relation to Dante, it refers to its meaning relating to the artistic creation of artificial sensorial impressions, and in particular to the generation of images (and not therefore limited to the contemporary technological sphere, as it is mostly understood today). Otherwise, my non-character’s virtual journey does not take place within fantastically defined settings; it develops within a “repertory” or set of fragments – or rather fractions – of suspended or deformed space/time, “quasi-virtual” spaces (as Barbara Lanati writes); a set of “non-place” constituent units enclosed, as it were, among the folds of space-time ( improperly I would define them as “singularities”, with an extension of creatively mediated meaning, a sort of “poetic licence” distorting the term to mean any space-time alteration as well as conscience-alteration).

Paul Klee – Angelus Novus, 1920
CONCLUSIONI • CONCLUSIONS
Le forme dell’immaginario storicamente codificate (miti, fiabe, ecc.), potevano offrire “chiavi” per decifrare, anche nei suoi aspetti più nascosti, il reale. Oggi non più… Il mio poema attesta sotto vari punti di vista la crisi dell’ “immaginario contemporaneo”: il disorientamento di chi, comune mortale, percorrendo la via d’un sogno – non troppo originale, ma normalmente appagante e sufficientemente vitale e solare – si ritrova sbalzato fuori dalla “diritta via” e da ogni sua nota “variante” e diramazione, entro un labirinto postmoderno, che conserva da un lato le oscure e paurose profondità dell’antico, e dall’altro apre su invisibili grovigli artificiali della rete globale. Ed è proprio da una sorta di sottaciuta implosione e frammentazione, destrutturazione entropica e mutazione dell’immaginario “tradizionalmente” definito/consolidato – riproiettato e disperso entro un caleidoscopio onirico, in un labirinto artificiale di files – che prende il via il poema e la tessitura composita della sua trama. E, in definitiva, la pagina bianca finale sta a significare che il viaggio non è pervenuto (- ancora, e forse mai- ) alla meta, punto indeterminato nello spazio-tempo, non visibile né esprimibile al linguaggio, ed a simbolizzare il “nuovo inizio”, concepibile ed esprimibile solo nell’attimo cruciale, fissato e definito (con una profondità che rende vano ogni commento) dal verso rilkiano: “Quando la bilancia passa / dalla mano del mercante / a quella dell’Angelo ” Certo, alfine, la pagina bianca è spazio non-scritto che si offre al lettore dopo e oltre i percorsi virtuali a lui aperti, affinchè vi entri con i suoi codici di accesso, interagisca col mondo creativo dell’autore, opera finita e al tempo stesso, problematicamente e indefinitamente, semi-lavorato da compirsi.

Umberto Boccioni – Cavallino
INTRODUZIONE DI BARBARA LANATI • INTRODUCTION BY BARBARA LANATI
Non ci sono cantiche o gironi, fiumi da attraversare, incontri, figure, pianti o maledizioni in questa “umana commedia”. Non c’è guida premurosa e attenta che spieghi, illumini, indirizzi il cammino. Non c’è discesa che porti a un’ascesa, ma il passo affrettato, la corsa di una donna sola, “Arianna senza filo”, che sa di dovere intraprendere un lungo, periglioso viaggio. La meta è precisa fin dalle prime battute. Ha a che fare con quell’”integro benessere / d’amore e vita” per cui la sfida è accettata. Al di là di qualsiasi esitazione chi scrive sa (o lo scrive per ricordarlo a se stesso e agli altri) della condizione coatta cui la/lo predispone l’atto stesso di scrivere: “è in gabbia dentro la trappola / di quel fatale / dilemma che Amleto visse / ed altri scrisse / – Replica d’umano dramma universale”. A differenza di Amleto tuttavia conosce l’arma quasi esclusivamente femminile dell’autoironia. Ride. Sa ridere “E in quel gran ridere / sentiva come una piccola / liberazione”. Autoironica e insieme ironica, è “tragica” in maniera esplicitamente “postmoderna”. Sarà osservatrice solitaria di un mondo sconosciuto e degli sbandamenti della sua stessa memoria. E insieme vittima: “E nello slancio avversato alla meta / si trascinava avvinta da aeree catene in vortici / e tenebre”. “Trasfigurata. in quella corsa pazza”: chi parla e scrive sa fin dalle prime battute di essere dannato come un’eroina della tragedia greca, dannato a correre – inseguita da cani rabbiosi e impazziti, inesorabili e inesausti (forse di Eliotiana memoria, dati i frequenti riferimenti a lande deserte, quelle terre desolate su cui a lungo, modello esemplare, si era soffermato lo sguardo di T.S. Eliot) in uno spazio “labirintico”: “al pari di cieco ingranaggio della macchina / o neurone impazzito del cervello cosmico / è sperduta dentro la sfera sconfinata / in margine al macrosistema o labirinto / astratto di serpentini avvolgimenti e snodi”. Ed è proprio il labirinto – sospetto – la figura chiave di questo lungo poema a due voci. Un’unica voce, sdoppiata. Una, due voci che sembrano dialogare da una sezione all’altra. Speculari l’una all’altra in italiano e in inglese. Canto e controcanto di una figura dannata, costretta a proseguire la sua ricerca senza l’ombra di Virgilio accanto. Un labirinto che dovrebbe condurla – Core rediviva in attesa perenne di Orfeo che non arriverà a salvarla, o a regalarle ritmi spazio-temporali riconoscibili – sbandamento dopo sbandamento, alla ricostruzione di un percorso, quello della sua stessa memoria che agli inizi si spalanca: “D’impulso imboccò il sentiero / della memoria”, “mappa invisibile incisa in cifre ermetiche sulla corteccia viva”, per poi lasciarla, persa a se stessa, tramortita dalla/nella forza del ricordo: “tradita per un blackout / della memoria – svuotata del messaggio / e del suo senso / Senza sapere più come e perché / avesse corso così angosciosamente / fino a quel lembo assurdo di deserto.” È un labirinto che non sembra concedere via d’uscita se non per aprirsi in spazi quasi-virtuali: enclave senza fondo, abissi che tempo e geometria non sanno misurare, “archivi di immaginario immortale in circuiti binari informatici” che si aprono e chiudono per lasciarla “così come corpo morto cade” di nuovo sull’orlo del labirintico precipizio che con determinazione ha scelto di percorrere. Il cervello in frantumi, neuroni impazziti, il corpo che supplica la fine, che prega dio – se c’è – che la uccida. Una discesa agli inferi, per via di serpentine ansie, “serpentini simboli”, in cui, come in 2001 Odissea nello Spazio, le costellazioni trasmutano, il passato si perde, cancellando volti e frammenti, (anche quest’ultimo, sospetto, un richiamo a. T. S. Eliot che come Carla Glori aveva caro un confronto con i grandi classici), restituendole l’immagine di un reale fatto di frantumi, come “in un vivente puzzle”. E’ un linguaggio, un lessico che non appartiene al passato, ma, direbbe piuttosto Eliot, al talento individuale, alla capacità di chi scrive di coniugare “il classico”, la recherche con la demoticità del presente, con i suoi suoni e le sue figure: “files artificiali”, “chip di silicio”, “computer cosmico”, “atomo”, ” outsider”, “neurone”, “circuiti binari informatici”… Sarà cosi, coniugando il linguaggio della ricerca e della disperazione con quello “presente” dei media informatici, shock su shock, shock dopo shock che la fuga si tramuterà nella scommessa per rovesciare il corso di una sorte. Sarà così, traversando “segregate lande”, che la persona poetica nella terza parte del poema sfiorerà finalmente la possibilità di salvezza, intravedrà una via di uscita: “rivisse in sé la prima vita innocente / o moto in luce o libera tensione / in cui ragione è amore / e amore ragione”. Avendo accettato l’inimmaginabile, l’abbandono alla sua stessa paura, il vuoto siderale di uno spazio virtuale, il “buco nero”, e non essendo ormai “né divina né più umana”, la persona. poetica riacquisisce una voce propria precisamente perché sa di aver attraversato, contemporanea Alice, lo specchio, quel “cristallino reticolo magnetico / su cui si stendono le immaginarie vie / che connettono caos inestricabile”. Si “riconosce”, si riascrive un’identità che nella recherche era andata completamente persa. Si guarda, si vede e si scopre “recluta involontaria e profuga devastata / estranea a una guerra cosmica”. “Profuga devastata” o nuova Eva? Ormai – è l’ultima sezione – sul filo del traguardo “viaggiando” – e amo citare verbatim perché non sopporto le parafrasi, impossibili peraltro in poesia, ne’ tantomeno le interpretazioni tendenziose, soprattutto nel caso di brevi note introduttive come questa – “viaggiando” – dicevo – “nel circuito di memorie artificiali” trasformatasi in essere né divino, né umano, “mutante” che ha accettato di essere un “prodotto” – non un relitto – del mondo contemporaneo, la nostra “eroina” corre, corre, corre come solo i replicanti in Blade Runner sanno fare, così da rovesciare “il finale stabilito” ed esorcizzare la fine della storia: “correva senza voltarsi, tra il rovinoso / sfascio di mondi – tra lo sfarinarsi di imperiali fortezze e templi sontuosi”. Al di la’ e lontano dalla Storia e dalla sua privata storia. Altrove. Lontano. In quella “selva oscura” da cui era partita o in cui forse non era mai entrata, così da poter finalmente scegliersi e scegliere. Per essere ciò che in molti oggi siamo e sono: “nomadi per vocazione e fatalità”. Figli di un passato e di una tecnologia che non si conoscono. Non hanno vocabolario in comune. Figli cui Carla Glori cerca di dare parola, voce, non fosse altro che “per non cancellare il nome dal libro della Vita”.
(translated by C. G.)

Paolo Uccello – Caccia notturna, 1470 circa (particolare)
NOTA DI REBECCA WEST • A NOTE BY REBECCA WEST
Il poema “Umana Commedia” osa mirare alla forma epica in un momento storico, il nostro, in cui le epopee sono lasciate al cinema o ai visionari solitari. La poesia odierna invero sembra parlare soprattutto in voci frammentate e intimistiche di piccole epifanie, tracce sparse di significato o ambiti di esperienza personale. Questo poema invece ci dà una visione cosmica: la maratoneta corre attraverso dimensioni multiple, sia fisiche che mentali, alla ricerca di risposte ai misteri più profondi della vita umana. Il linguaggio e la forma del poema catturano l’impeto irresistibile dietro tale ricerca: una ragione d’essere. Non è casuale che l’audace maratoneta sia una figura femminile, poiché la poetessa e la sua creazione infine sono sostanzialmente la stessa cosa. L’epopea è una forma antica, ma qui è interamente postmoderna, e anche millenaria, permeata com’è di forme contemporanee di conoscenza, di una sensibilità globale, ivi compreso il riconoscimento della inevitabile necessità di una versione in Inglese – la nuova lingua franca delle vie informatiche mondiali ove si trasmette ogni forma di cultura, inclusa la poesia. Non è agevole inquadrare il poema entro qualche categoria: rompe con la moderna tradizione poetica italiana, mentre fa chiaramente eco ad un’altra “Commedia”, il cui peregrinante protagonista pure mirò ad entrare nel cuore dell’esperienza umana e trascendentale. La “Umana Commedia” porta i suoi lettori, come fa Dante, attraverso paura, desolazione, bisogni, per raggiungere finalmente una forma di sapienza: che il significato della nostra vita forse si trovi nel fatto che il vivere è il correre una maratona con se stessi verso una meta ultima sconosciuta ma non per questo meno intensamente ricercata.
(Traduzione di Carla Glori)

Paul Klee – Il funambolo, 1923
copyright Carla Glori